Guido, gestisco, lavoro, lavo, correggo e carezzo. Ma, di fondo, è un anno che ti penso. Continuamente. O, meglio, furiosamente.
Perché da questo srotolare, rovesciare, strofinare, scuotere e strizzare i Pensieri, quello che cola via è soprattutto rabbia, insieme a un malessere ancora più denso che fa paura a guardarlo.
Così cerco risposte. Perché i Pensieri consumano energie e bisogna che loro si esauriscano per primi, dal momento che io non ho intenzione di farlo.
Cerco e cerco, ma di risposte ne recupero poche e spesso tutte sporche, anche quelle, e macchiate di sconforto.
Da poco, però, sono inciampata in una storia piccola, raccontata in versi e raccolta in un pomeriggio in cui, sorprendentemente, sono riuscita a fregarli, i Pensieri.
Una libellula di città
Una libellula di città / lo sa che tanto non durerà.
Appena nata, lascia il suo stagno. / “Stanotte muoio”, grida ad un ragno.
“Serve una mano – fa lui, con brio / – Devi morire? Ti aiuto io”.
“Gratis? Davvero? Un’eutanasia? / Come mai tanta galanteria?”
“Così. Si vede che qua sei nuova”, / risponde il ragno perdendo bava.
“Forse più tardi. Mi faccio un giro”. / La assale un flebile capogiro.
Va rasoterra, ammirando i popoli / indaffarati nella metropoli,
le pendolari delle fatiche / sull’autostrada delle formiche.
“Ciao, muoio presto”, dice gioviale / a quel viavai imprenditoriale.
“Fa’ come noi: sparpaglia il tuo io, / sbriciola l’ego, fanne un brusio”.
“Ma non si muore anche a pezzettini?” / “Si salva il noi. Accomuna i destini”.
Vola angosciata quella libellula, / sente già estinta in sé qualche cellula.
È ancora presto , ma lei lo sa / che a mezzanotte salma sarà.
A mezzogiorno incontra una mosca / che sembra proprio la riconosca.
“Non ti ho già vista?” “Credo di no. / Nata da un po’, fra un po’ morirò”.
“Allora, quando trovi una cacca, / godila in fretta o diventa secca!”
Vola più in alto, vola più in là, / per assaggiare un po’ di realtà.
“Male! Sbagliato! – grida un lombrico / – Sta’ a casa tua. Da’ retta a un amico”.
“Perché?” ” Se il mondo conoscerai, / ti mancherà quando morirai”.
Sono le tre, in un’ape si imbatte. / “Sto per..” “Sta’ zitta. Che me ne sbatte?”
“Ti do fastidio?” “Ho da lavorare”. / “Ma io…” “Non sei la sola a schiattare”.
A ritmo grattano le cicale / le resta in mente anche se non vuole,
suona da sola dentro la testa: / –uu –u –uu –u
Verso le sette si sente stanca. / “Ho visto tutto, solo mi manca…”
“… vedere me!” ” E chi sei?” “Una zanzara. / Cosa ti manca? “Forse una bara”.
“Dammi il tuo sangue. Vuota, tu stessa / di te sarai cadavere e cassa”.
Scenda la sera, cala la notte, / arranca a piedi, le ali le ha rotte,
ma avvista un’ultima, strana scena. / “Su, forza – la incita una falena
– vieni: fra poco c’è Dio che appare”, / e da una luce si fa incendiare.
Ne vede un’altra molto più piccola. Le si avvicina: “Chi sei?” “Una lucciola.
Porto quaggiù le costellazioni, / offro terrene consolazioni”.
E dentro al buio poi la conduce, / finché si abitua . Spegne la luce.
Tiziano Scarpa – 2018
Quando mi sono messa in ascolto della storia, i Pensieri mi hanno dato tregua. Sono volati via con la libellula. Per un attimo.
Poi, perché comunque non mollano mai, sono tornati indietro, i Pensieri, e mi hanno chiesto. “Tu chi sei stata per tua madre? Il ragno crudele, l’insopportabile zanzara, la cinica ape o la formica invasata?”
Che rabbia! Li ho strizzati ancora un po’, i Pensieri, e poi ho risposto loro “Un po’ l’uno e un po’ l’altra, ma di una cosa sono certa. Io ho regalato a mia madre due lucciole: alla fine del viaggio le hanno portato quaggiù le costellazioni e l’hanno accompagnata nel buio.”
I Pensieri se ne sono stati un po’ zitti e poi, allontanandosi, hanno commentato “Va, bene, per stasera basta così”.
…eccome se i Pensieri consumano energie…….