Nella classifica degli inizi folgoranti quello di Scarti, di Jonathan Miles, si posiziona davvero in alto. In poche pagine il sipario si apre su tre situazioni già mature, insolite e apparentemente senza alcun legame reciproco.
“Perché?” Ti chiedi da subito e già ti senti bene, perché chiederti perché ti fa sentire attento, vivo, parte della storia. Poi basta andare avanti e, capitolo dopo capitolo, trovi tutte le risposte alle tue domande e anche ad altre che ancora non ti eri posto.
Scarti è un libro al cubo, perché le tre storie procedono in tre dimensioni. Si ingrossano, inglobando al loro interno elementi che sembravano marginali, cause ed effetti, parentesi e dettagli inutili che germogliano in nuovi racconti. Si allungano, srotolandosi nel tempo e diventando sempre più coerenti e verosimili. Si intrecciano, entrando le une nelle altre in un sistema sensato che rappresenta alla perfezione l’insensatezza del mondo.
Alla base di tutto ci sono i rifiuti e tutto ciò che i rifiuti significano. Rifiuti come spazzatura. Rifiuti come “no” detti male, urlati e ostili. Rifiuti come l’assenza, il disprezzo, la grettezza e l’ostinazione. Rifiuti come oggetti da riusare, accaparrasi, rubare. Rifiuti come ciò che è inutile: un malato, un aborto, un divorzio, un tradimento, un indeciso, una matta, un avanzo di galera, un neonato in un cassonetto.
A pensarci bene tutto può essere uno scarto o non esserlo, basta cambiare il punto di vista. Gli scarti ci definiscono per differenza: si può dire che noi siamo ora ciò che resta da quello che prima abbiamo buttato e ciò che abbiamo buttato racconta la nostra storia scritta lungo una scia di spazzatura.
Dopo aver letto Scarti guarderete il vostro cestino e quello degli altri con occhi diversi, scandagliandone il contenuto con attenzione, perché vi darà molto di più di quanto abbiate mai potuto pensare. Che serva anche a pensare bene a ciò che vale la pena buttare?